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UNA DOMENICA ALL'INFERNO - DOLOMITISUPERBIKE 2004

(La mia esperienza)

Sabato 10 luglio arriviamo in Val Pusteria, teatro della Dolomitisuperbike, il tempo non è dei migliori e il sole cerca a fatica di farsi largo tra le nuvole. "Zia" Taschler (l'arzilla signora che ci ospita per il terzo anno nel suo garnì) alle nostre richieste su che tempo farà domenica, risponde: "Se va bene come oggi, ma io penza che viene qualcosa di crande!" e noi spavaldi: "Signora non nevicherà mica?", "Zia" ci guarda con un sorriso che assomiglia più a un ghigno. Altro che; il giorno dopo quel sorriso malefico ci farà pensare ad una gufata bella e buona, ma vediamo cosa è successo. Quest'anno siamo partiti in tanti per partecipare alla mitica gara delle dolomiti infatti, al "gruppo storico" degli agonisti, si sono uniti molti dei nostri cicloturisti, presidente compreso; tutti più o meno gasati di partire per la grande avventura. Domenica ore 6 sveglia per chi dorme dalla "Zia"; il morale è a pezzi, fuori sembra gennaio e Peranzonen sentenzia: "sarebbe quasi da rimanere a letto!". A colazione, grazie ai pazzi di Grottaccia, si torna a sorridere e poi non fa neanche troppo freddo e non piove. Ore 7,30 entriamo in griglia; è sempre il solito spettacolo di colori, biciclette, lingue e dialetti; io il Pela e Natà siamo in prima griglia (nel 2003 non siamo andati male), tutti gli altri più indietro ma alla Dolomiti questo non conta, l'importante è esserci. Ore 8 si parte; il tempo tiene, il pubblico è numeroso e l'emozione sale alle stelle. Alla prima salita io e Pela procediamo come d'accordo: il Capitano tira fino al bivio del percorso lungo poi se piove prosegue con Pela altrimenti ognuno per se; intanto il tempo sembra peggiorare. Arrivo alla deviazione da solo e decido di proseguire sul lungo pensando che migliorerà e poi la Dolomitisuperbike per me sono i 111 Km.; dopo pochissimi chilometri comincia a piovere a dirotto e con la pioggia cominciano anche i pentimenti, tuttavia, visto cosa sarebbe successo di li a poco, ogni scelta si sarebbe rivelata sbagliata. Era da tempo che non pedalavo sotto l'acqua (sono allergico al fango) e di colpo ripenso a quando da piccolo lo facevo a posta per emulare i motocrossisti e puntualmente le buscavo da mia madre; che sport la mountain bike, ho 40 anni e mi sento ancora un bambino. Intanto arrivo alla seconda discesa, una picchiata tra gli abeti verso San Candido, con sorpresa mi accorgo che sotto ai grandi alberi è buio, quasi notte; la tensione mi aiuta a non sentire il freddo che inizia a essere pungente, riesco anche a sorpassare. Eccomi a valle, il diluvio prende forma, comincio ad essere fradicio e sconfortato, medito di ritirarmi, ma la gamba e il fisico rispondono bene; raggiungo San Candido quasi a nuoto, mi fermo al ristoro pieno di dubbi sul da farsi, le donne del servizio ci guardano con un misto di compassione e ammirazione, in fondo siamo dei duri. Prendo una barretta e decido di ripartire, sarò pazzo ma nonostante tutto sto facendo una buona gara. Esco dal paese e subito quattro tedeschine mi incitano e mi applaudono (loro si che amano i duri), è meglio di qualsiasi droga e poi sono convinto che spioverà non può continuare così. La salita è lunga e con pazienza cerco di prendere il mio ritmo, le mani se ne stanno andando, me ne accorgo perché non riesco bene a cambiare marcia, intanto piove sempre di più, oramai sono zuppo. Che strano nonostante le avversità sto pedalando bene e mi accorgo di una situazione bizzarra: mentre salgo insieme ad altri bikers (faccio anche qualche sorpasso), alcuni procedono in senso contrario, hanno detto basta. A questo punto inizio a pensare e a pormi delle domande: devo fermarmi?, però non può finire così dopo tutti i sacrifici fatti e i soldi spesi per esserci; i miei amici sul percorso medio dove saranno?, in che condizioni si troveranno?; domani starò male sicuramente; la mia Scott procede bene ma la sto maltrattando troppo (non la lavo così nemmeno per pulirla). Intanto raggiungo un biker italiano e iniziamo a parlare, lui è alla prima Dolomiti; mentre saliamo all'improvviso mi chiede: "ma che roba è?", "è neve" rispondo; incredibile sta nevicando forte e siamo quasi a metà luglio. Procediamo ancora, oramai mi sento un automa, non controllo più la bici, il freddo è sempre più forte, le labbra mi fanno male, mi guardo le gambe: sono viola ma continuano a pedalare (che rabbia ero proprio allenato); capisco che è finita, devo ritirarmi, devo trovare una via di uscita. Continuo ad incrociare bikers che tornano indietro come dispersi, per me è sbagliato: bisogna andare ancora avanti, tra poco c'è un bivio da cui è possibile raggiungere l'abitato di Sesto; il mio compagno di marcia mi segue, nel frattempo mi immergo di nuovo nei pensieri: se qui siamo in queste condizioni cosa sarà sulla salita di Prato Piazza?; che fine avranno fatto il Pela e tutti gli altri?; il Prof sarà anche lui sul percorso lungo?; non possono far continuare la gara in queste condizioni sarebbe un massacro, devono fare qualcosa. Al bivio per Sesto incrociamo chi scende dall'alto e ci informa che la gara è stata fermata, sono circa le 10,30. Raggiungiamo il paese di corsa per riscaldarci e ci accoglie una scena da calamità naturale; nel via vai di ambulanze, Vigili del fuoco, forze dell'ordine, veniamo convogliati verso la caserma dei Vigili del fuoco trasformata in centro accoglienza. In breve il locale si riempie di bikers tremanti come foglie al vento, soccorritori che si prodigano con coperte, divise da vigile, cibo e the caldo; in circa un'ora sono pronti bus e camion per riportare noi e le nostre bici a Villabassa (veramente una grande organizzazione), io trovo un passaggio da due gentilissimi fratelli di Anterselva anche loro protagonisti del "viaggio all'inferno". Ore 9,30 ca. sulla salita di Prato Piazza si scatenava il finimondo ed ecco cosa succedeva ai miei amici: il Presidente, Peranzonen e gran parte dei cicloturisti, vista la situazione, mollano a Dobbiaco; il gruppo dei pazzi di Grottaccia in preda al freddo (Orso sta male, Ernesto battendo i denti dal freddo perde una capsula di un dente), irrompe in una baita privata chiedendo: "per piacere facce scallà" e subito vengono soccorsi amorevolmente dalla gentile famiglia. Il Prof si ritira a San Candido e torna verso l'albergo in bici sotto al diluvio. Gli altri, invece, sono gia sulla salitona: il freddo è terribile, nevica, Bordò e Piccinì tornano indietro, Pela prosegue fino al ristoro del G.P.M. dove le ragazze del servizio cercano di riscaldare i malcapitati bikers. Il the caldo viene versato sul corpo per riscaldarsi, in particolare sui piedi, uno dei nostri, non faccio il nome, per riscaldare le mani congelate ha usato la pipì. Nel frattempo sul G.P.M. transita Natà - categoria M 5 - che prosegue imperterrito verso Prato Piazza dove viene fermato, entra nel rifugio ma sente che deve ripartire (una vera roccia), esce e seguendo un altro concorrente si getta in discesa. Sarà recuperato sulla strada della Val di Braies, coperto di neve e semi allucinato, da alcuni dei nostri che rientravano in albergo. Ore 12,30 all'improvviso la tempesta così come era arrivata è finita e, beffardamente, esce un caldo sole; dopo una lunghissima doccia bollente, torniamo nella zona di arrivo dove è ancora in atto il rientro dei bikers, dei soccorritori e delle MTB. Il ritiro delle bici presso la palestra di Villabassa assomiglia ad un riconoscimento di salme: sono tutte lì, stese a terra, circondate da un nastro, sorvegliate da Carabinieri e organizzatori, in attesa dei bikers con cui hanno condiviso questa domenica infernale. Ore 13 ca. il popolo della mountain bike si ritrova attorno ai tavoli del pasta party, ognuno con la sua storia da raccontare; fa caldo, si mangia, alcuni sono "incazzati", altri rilassati o distrutti, ma in ogni faccia c'è la consapevolezza di poter dire un giorno - quel maledetto 11 luglio c'ero anch'io- inoltre, si parla gia del 2005 quando il popolo bikers sarà ancora lì, pronto per la nuova sfida, pronto per la rivincita, questa volta con la speranza che ci sia il sole. Ore 15,30 si torna a casa (e forse al caldo), dentro di me un unico cruccio: quei 68 Km. che non ho percorso mi mancheranno per sempre.

Andrea Massaccesi

 

 

 

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